
Crisi Big Tech: la rivoluzione delle multinazionali tecnologiche
Durante la pandemia i social media sono stati l’unico strumento che ha messo in contatto le persone fra loro con lo scopo di ricreare un’idea di normalità. La forte accelerazione alla digitalizzazione ha fatto crescere in maniera esponenziale le quotazioni delle grandi imprese del settore e la nascita di numerose start-up.
La crisi dei Big Tech - i più grandi player della tecnologia e del settore IT - è iniziata con il ritorno alla vita sociale e i licenziamenti effettuati dalle piccole aziende che avevano sopravvalutato l’ondata innovativa portata dal Covid.
Complici lo scoppio della guerra in Ucraina, l’incremento dell’inflazione e la caduta dei titoli di borsa, anche le multinazionali tecnologiche – quali Snap, Meta, Amazon e Microsoft - hanno cominciato a congelare e rallentare le assunzioni per poi interrompere i contratti di lavoro.
Elon Musk al comando di Twitter
Il caso più discusso, in termini di licenziamenti e rivoluzioni, è senza dubbio l’acquisizione ad ottobre per 44 miliardi di dollari di Twitter – il social network americano fondato da Jack Dorsey - da parte del patron di Testa Elon Musk. L’imprenditore, naturalizzato statunitense, è entrato nella società a gamba tesa creando scompiglio fin dai primi istanti.
La prima decisione ha infatti riguardato il licenziamento dei quattro top manager, tra cui il CEO Parag Agrawal, a cui si sono aggiunti gli esoneri di 3.800 dipendenti tramite una e-mail inviata alle 3 di notte e il ricollocamento del personale rimasto. Provvedimento strettamente necessario secondo Musk, dal momento che l’uccellino blu perderebbe oltre 4 milioni di dollari al giorno e negli ultimi due anni ha chiuso in perdita: -1,4 miliardi nel 2020 e -221 milioni nel 2021.
A tutto ciò si sono aggiunte diverse riforme, inizialmente sostenute con forza poi ritirate e infine riviste, - account verificati a 8/20 dollari al mese, il reintegro degli account bannati, la completa libertà di espressione nella pubblicazione dei contenuti verbali e non -, che hanno portato gli utenti della piattaforma a cercare un nuovo spazio dove esprimere le proprie opinioni in sicurezza e le aziende a sospendere le inserzioni pubblicitarie.
Le alternative più gettonate del momento sono: Mastodon e Post. Il primo è controllato da migliaia di account divisi in server che si assumono la responsabilità di controllare la community e imporre le regole, una sorta di “auto-disciplina”; il secondo, invece, funziona attraverso la selezione preventiva degli utenti che possono farne parte, instillando così fin da subito verità, libertà e civiltà nell’interazione.
La recessione di Meta
La recessione macroeconomica, l'aumento della concorrenza e il calo delle inserzioni pubblicitarie stanno segnando uno dei periodi più neri della storia di Meta. Lo stesso fondatore, Mark Zuckerberg, ha ammesso di aver sopravvalutato la crescita della società, di aver assunto un numero eccessivo di personale e di aver puntato in modo eccessivo sul Metaverso (universo di realtà virtuale online).
Uno dei punti più dolenti della crisi è stato senza dubbio l’impatto che hanno avuto le nuove regole sulla privacy imposte da Apple nel suo App Store sul digital advertising, una delle principali fonti di guadagno per l’azienda. Un danno stimato di 10miliardi di euro.
Tutto ciò ha portato inesorabilmente al licenziamento di 11mila dipendenti (il 13% dell’organico) dettato da una prima perdita in borsa di 11miliardi di dollari. Nonostante l’aumento degli utenti attivi e gli sforzi per innovare il mondo tech, il fatturato sta subendo un calo del 4%, i costi sono lievitati del 19%, il margine operativo è crollato di 16 punti percentuali e l’utile si è dimezzato.
Ad aggiungersi è anche l’inarrestabile migrazione da Facebook – il padre dei social network - degli utenti nati fino all’anno 2000 verso altre piattaforme e la scelta da parte delle nuove generazioni di Instagram e soprattutto Tik Tok, principale competitor di Meta. Quale sarà la nuova scommessa di Zuckerberg per tornare a cavalcare l’onda del successo?
Microsoft e Google accrescono il fatturato, ma non basta
Quando si parla di Big Tech non si possono non prendere in esame Microsoft e Google. La prima multinazionale ha fatto registrare un +11% di ricavi su base annuale e utili in ribasso ma sopra le aspettative. A deludere maggiormente è stato il settore “Cloud” che ha segnato il trend più negativo: -26% per una perdita al momento di 179 miliardi di dollari.
Per quanto riguarda Google i ricavi sono sì in aumento, ma ad un tasso mai così basso dal 2013. Il problema principale concerne la pubblicità e in particolar modo preoccupa il calo delineato dall’analisi dell’andamento delle inserzioni su YouTube. Il paracadute per l’azienda statunitense si chiama Google Cloud che ha visto un incremento del +37%.
Amazon licenzia 10mila lavoratori
La crisi ha colpito anche il re dell’e-commerce: Amazon. La società di Jeff Bezos ha infatti messo in stand-by le assunzioni e lasciato a casa 10mila dipendenti, il più grande licenziamento che la società abbia mai visto e che continuerà nel nuovo anno.
I tagli sono frutto di una crisi economica dettata dal rallentamento della crescita in alcuni settori e dall’impennata di assunzioni avvenute durante la pandemia quando, impossibilitati ad uscire, i clienti acquistavano online con consegna a casa e serviva forza-lavoro.
“Queste decisioni saranno condivise con i dipendenti e le organizzazioni interessate all’inizio del 2023 – ha dichiarato Andy Jassy, AD Amazon - Non abbiamo ancora definito quanti altri ruoli saranno interessati, sappiamo solo che ci saranno riduzioni nelle nostre organizzazioni Store e PXT”.
Finora circa 121mila persone sono state esonerate da questi colossi, molte delle quali sono già state ricollocate in nuovi posti di lavoro sempre nel settore tech, grazie alla loro competenza e professionalità. Alla luce di quello che sta accadendo, il mondo delle Big Tech ha quindi bisogno di un reset?